...il solo sapere che un buon libro sta aspettando alla fine di una lunga giornata rende quella giornata più felice...

Kathleen Norris

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lunedì 7 giugno 2010

Q-U-I-N-T-O R-A-C-C-O-N-T-O!!

Finalmente ecco arrivato il quarto racconto riveduto e corretto!!!Dopo un po' di peripezie per riuscire a far ripartire il blog(chissà come non riconosceva più la pw booooh) e dopo un mese decisamente stressante dal punto di vista di verifiche e interrogazioni ecco a voi.....

"INFRINGED HEAVEN"

scritto da: Marta Iselle
riveduto e corretto da: Giulia Vigolo
supporto, informazioni tecniche e consigli: Elia Bonetto




Una giornata come le altre: scuola, compiti e studio. Tutta la città spense la luce. Tutti, tranne i ragazzi della Pool Street. Le sorelle Ginny e Nikki, come gli altri sei membri del gruppo si dirigevano verso la Macchia.
La Macchia era il loro posto di ritrovo. Ogni sera i ragazzi si ritrovavano alla Macchia, ma non per bere o fumare di nascosto. Il loro modo migliore per divertirsi era con skate, roller e musica a manetta. Macchia è il nome che diedero tempo prima ai sotterranei di Manhattan. Nessuno oltre a loro conosceva quel magnifico luogo. Si trovava cinquanta metri sotto la metropolitana e grazie al rumore delle rotaie nessuno poteva udirli. Le due ragazze, armate di pattini arrivarono al posto, dove anche gli altri le stavano aspettando. Erano sempre stati amici, sin dai tempi dell’asilo, quando già iniziavano a farsi i loro progetti. La macchia ne è il risultato. Era frutto di due interi anni di lavoro segreto di otto ragazzini: Ginny, Nikky, Rick, Alan, Selene, Lorenz, Davis e Tommy.
Passavano per la stretta scala a chiocciola di metallo per recarsi nei sotterranei. Li, l’enorme pista di pattinaggio delle ragazze faceva da contorno all’area da skate, dove invece stavano i maschi. Con la musica a tutto volume rimbalzavano tutta la notte su quelle piste. Il loro mondo era incompreso dagli adulti, che vedevano solo la scuola, lo studio e i bei voti. Quel mondo finì una notte di ottobre, quando ci fu un tradimento. Era il compleanno di Davis, il più grande del gruppo che quel giorno compiva diciotto anni. Dopo aver festeggiato con il suo gruppo tutta la notte, tornando a casa fu sopraffatto da un uomo, che gli cambiò la vita....continua qui

venerdì 28 maggio 2010

RICERCARE..


"Ragazzi, per il prossimo mese voglio una ricerca su......." Quanti di voi si sono sentiti dire questa frase mentre andavano a scuola alle superiori? O semplicemente quanti di voi hanno avuto un giorno il dubbio su una cosa e hanno detto "Vado a vedere in internet se scopro qualcosa per capire meglio." Credo che le persone che non hanno mai ricevuto una ricerca da svolgere o una curiosità su qualcosa siano veramente pochissime. E qui il "gruppo"  si divide in due. Coloro che hanno familiarità con internet e coloro che non hanno neanche idea di come utilizzarlo. Il secondo gruppo è formato principalmente da persone over30, che per fare le ricerche andavano in biblioteca, scolastica o comunale, facevano fotocopie, trascrivevano a mano, riscrivevano, e consegnavano. Il primo gruppo invece è formato principalmente under30, che hanno una certa familiarità con internet(più o meno elevata), che utilizzano un qualsiasi provider di ricerca(Google, yahoo, Bing...) scrivono le parole chiavi, premono INVIO, e guardano i risultati. Tra i risultati ormai da qualche anno compare una voce, WIKIPEDIA, generalmente tra i primi risultati. Poi il procedimento classico è copiare, incollare su un documento word, stampare, sottolineare, riscrivere e stampare ancora. Ma wikipedia. Wikipedia è...la più grande enciclopedia libera presente nel web. Ognuno può apportare contributi, aggiungere informazioni, che si riveleranno più o meno errate. Per questo c'è un meccanismo di controllo che verifica le fonti. Centinaia di lingue(anche se gli articoli migliori si trovano in lingua inglese). Ultimamente è cominciato lo sviluppo di Wikipedia in dialetto. Dal dialetto Veneto a quello Sardo. Ormai non usare Wikipedia per fare una ricerca è quasi impossibile.. 

Elia Bonetto

domenica 23 maggio 2010

IL PROGETTO

Tutti le informazioni sul progetto di scrittura creativa, il motivo principale per cui è stato aperto questo blog, l'elenco dei libri che sono stati scritti, tutti i post relativi ad essi e tutte le informazioni che potreste trovare passando mezz'ora a passare post per post nell'elenco qui a fianco.

Elia Bonetto, Giulia Vigolo, Iselle Marta




IL LINK

ultimo aggiornamento: 23/05/2010

sabato 22 maggio 2010

NOVITA'

Bene bene ragazzi..eccoci qua..qui troverete tutti i link con le pubblicazioni recenti NON inerenti al progetto scolastico..quindi i nostri commenti i nostri pensieri..quello che ci passa per la testa e ci va di scrivere.

22/05/2010 Marta Elia e Giulia.


LA MUSICA..IMMANCABILE.. 31/03/2010

PER RIDERE UN PO' 08/04/2010

CHE MERDA!!! 16/04/2010

VERGOGNA! 20/05/2010

giovedì 20 maggio 2010

VERGOGNA!




Dopo lo scandalo a Milano in una scuola primaria nella quale i bambini sono stati messi a pane e acqua perché i genitori non hanno pagato il servizio mensa, un altro scandalo colpisce le scuole primarie. Dei bambini saranno costretti a pulire i bagni della scuola per colpa di alcuni "bulletti" che li hanno imbrattati. Vi sembra giusto? Costringere dei bambini(e vorrei sottolineare proprio questo) a pulire i bagni della scuola a causa dell'ennesima bravata giovanile. Provate a pensare come ci saremmo sentiti noi alla loro età a sentirci dire:
"Domani pomeriggio ragazzi starete a scuola tutti insieme per pulire i bagni che sono stati sporcati dai vostri compagni."
Ok..capisco dare delle punizione agli alunni per far capire loro che hanno sbagliato, capisco che bisogna educarli, che devono capire. Non capisco perché sfruttare i bambini per pulire i bagni, umiliarli così, infliggergli una punizione così pesante. Non è giusto, è immorale, forse anche incostituzionale(art 37), di sicuro va contro la CONVENZIONE SUI DIRITTI DELL'INFANZIA(art. 32). In Italia l'età minima per lavorare è 16 anni...non 7 o 10!!! E nella costituzione è specificato che qualsiasi lavoro deve essere adeguatamente retribuito. Spero che la dirigente della scuola "Achille Ardigò" non costringa veramente quegli alunni a fare quello che ha detto, spero si ravveda, e spero che la giunta e il sindaco prendano provvedimenti se gli alunni saranno veramente costretti a pulire quei bagni a causa di una bravata di bambini delle elementari. Chiunque ha sbagliato, e sicuramente qualcuno di noi ha scritto sul muro di un bagno o intasato lo scarico, per sbaglio o appositamente, chiunque sbaglia, il difficile è ammettere i propri sbagli e cambiare.

Elia Bonetto

giovedì 13 maggio 2010

AAAAAAAAAAH

Hei ragazzi..scusate..ma la connessione qua non si riusciva più a farla partire..finalmente Alice si è decisa a lavorare e sono riuscito ad entrare per scrivervi le ultime novità..Libro n° 5 in arrivo..stress da scuola in aumento esponenziale ogni giorno(altro motivo di assenza post in questo periodo), il tempo qui fa schifo, ma almeno costringe i poveri studenti come noi a stare a casa a studiare senza pensare "Ma che bella giornata, usciamo?".....se magari...devo studiare...:(....

A presto ragazzi..domani o dopodomani arriva il quinto racconto...

Elia, Giulia e Marta

lunedì 10 maggio 2010

Una giornata come le altre: scuola, compiti e studio. Tutta la città spense la luce. Tutti, tranne i ragazzi della Pool Street. Le sorelle Ginny e Nikki, come gli altri sei membri del gruppo si dirigevano verso la Macchia.
La Macchia era il loro posto di ritrovo. Ogni sera i ragazzi si ritrovavano alla Macchia, ma non per bere o fumare di nascosto. Il loro modo migliore per divertirsi era con skate, roller e musica a manetta. Macchia è il nome che diedero tempo prima ai sotterranei di Manhattan. Nessuno oltre a loro conosceva quel magnifico luogo. Si trovava cinquanta metri sotto la metropolitana e grazie al rumore delle rotaie nessuno poteva udirli. Le due ragazze, armate di pattini arrivarono al posto, dove anche gli altri le stavano aspettando. Erano sempre stati amici, sin dai tempi dell’asilo, quando già iniziavano a farsi i loro progetti. La macchia ne è il risultato. Era frutto di due interi anni di lavoro segreto di otto ragazzini: Ginny, Nikky, Rick, Alan, Selene, Lorenz, Davis e Tommy.
Passavano per la stretta scala a chiocciola di metallo per recarsi nei sotterranei. Li, l’enorme pista di pattinaggio delle ragazze faceva da contorno all’area da skate, dove invece stavano i maschi. Con la musica a tutto volume rimbalzavano tutta la notte su quelle piste. Il loro mondo era incompreso dagli adulti, che vedevano solo la scuola, lo studio e i bei voti. Quel mondo finì una notte di ottobre, quando ci fu un tradimento. Era il compleanno di Davis, il più grande del gruppo che quel giorno compiva diciotto anni. Dopo aver festeggiato con il suo gruppo tutta la notte, tornando a casa fu sopraffatto da un uomo, che gli cambiò la vita.
Il ragazzo stava camminando per la via del ritorno, solo con se stesso, pensando che da quel giorno era indipendente dai genitori, finalmente. Era ingarbugliato fra i suoi pensieri quando all’improvviso si sentì afferrare per la gola, sbattere contro il muro disgustando l’odore di ferro che proveniva dal coltello puntatogli a un palmo dal pomo d’Adamo. “Dammi i tuoi soldi!”. Ovviamente Davis se lo aspettava, cos’altro avrebbe mai potuto chiedergli? “Ti ammazzo!” continuava a gridare il tipo, ma Davis taceva, guardandolo fisso negli occhi. L’uomo gli ferì un polso, facendo scendere un rivolo di sangue. Davis taceva. L’uomo passò a colpirlo ai fianchi, causando un dolore terribile al ragazzo, che si accucciò a terra, ansimante.
“Okay, okay, te li do questi benedetti soldi!” disse Davis, cercando di camuffare i crampi lancinanti. Estrasse il portafoglio e gli diede i 50 dollari che gli erano rimasti da quella serata. L’uomo li afferrò sputandoci sopra. Il ragazzo, piuttosto agile, iniziò a correre verso destra, verso la stazione, verso la Macchia. Si sentiva sempre alle spalle l’odore di quello zingaro che non si sarebbe accontentato di una cifra così bassa. Cercò di nascondersi dietro la metro la quale stava attendendo che scendessero o salissero i passeggeri. A quell’ora di notte i passeggeri erano più che altro anziani, o vandali che cercavano riparo dove dormire. Cercò degli altri posti dove nascondersi. Vide una cabina telefonica. Ci si nascose dentro, fingendo di telefonare. Prese in mano la cornetta, osservando che l’uomo si stava dirigendo verso di lui. Fece finta di inserire una moneta, ma quando rialzò lo sguardo, l’uomo non c’era più. Si girò per uscire, trovandoselo davanti. Gli sorrideva sarcastico salutandolo. Davis aprì la porta, colpendolo sullo sterno, per recuperare tempo, e andò verso la tabaccheria, per cercare aiuto. A direzione dell’ufficio c’era proprio il tipo, che gli rovesciò addosso metà delle riviste che erano esposte, scatenando il panico delle persone nei dintorni. Il ragazzo scappava, premendo la mano sul fianco per diminuire il dolore. L’unico posto dove poteva andare a ripararsi era il nascondiglio. Mancava poco per raggiungerlo. Dopo un centinaio di metri scese giù per le scale, poi via nella scorciatoia vicino ai bagni. In quel momento si sentiva stanco, sudato e sfinito. Si infilò tra i muri stretti ed aprì la botola nel pavimento. Era arrivato. Più nessun rumore gli rimbombava nelle orecchie, il pensiero di sicurezza lo invase, calmando la frenesia del suo battito cardiaco.
Ormai non avevo più scampo. Ogni settimana la stessa storia. Clark voleva indietro i suoi fottuti soldi e io non ne avevo abbastanza. Cazzo, li ho usati tutti per comprare l’impianto stereo per la Macchia e adesso gli interessi hanno fatto raddoppiare il debito. Prima o poi lo strozzino mi ucciderà.
La sera dopo, Davis, entrando nel loro paradiso, vide che nessuno sorrideva più, nessuno pattinava, nessuno ballava, nessuno parlava. Silenzio. In quel momento Lorenz, il capo del gruppo, stava camminando verso di lui, con lo sguardo serio e carico d’astio, zoppicando e coprendosi la spalla.
“Senti Davis, vattene. Non ti vogliamo più fra noi, sei un traditore. Ora nessuno più ti rivolgerà la parola, sono tutti contro di te. Non capisco come tu abbia potuto pensare di farci una cosa del genere. Vattene subito!”.
Dopo aver tirato un pugno al bancone, riprese: “Stanotte hanno invaso la Macchia, pezzo di merda. Erano in tanti, davvero tanti e io ero da solo. Mi hanno chiesto di te, volevano i tuoi soldi. Ma perché cazzo non ci hai detto che hai chiesto denaro a Clark per l’impianto? Ora non provare a scusarti, noi non vogliamo pagare i tuoi errori, ci hanno già distrutto tutto. Vedi com'è ridotto questo posto ora? Lo vedi?“
Intanto Davis taceva, come al solito.
“Adesso in tanti sanno del nostro segreto, dovremo raddoppiare la sicurezza, soldi e soldi per rimettere a posto le piste, per ricomprare anche il tuo maledetto impianto. Non saremo mai più al sicuro da quei tipi, e solo per colpa tua!“.
Un altro pugno scosse il bancone.
“Non tornerà mai più come prima! Vattene!”. Con queste ultime parole quasi si poteva toccare l’odio che provava Lorenz, e il dolore del tradimento lo travolse.
Così, Davis, guardò per l’ultima volta il paradiso profanato e con il sapore di acqua salata scolpì nella sua mente gli sguardi dei suoi compagni di vita.
A scuola, il giorno seguente, non alzò minimamente lo sguardo per guardarsi intorno. Sapeva benissimo che i suoi amici l’avevano emarginato e, per evitare altri possibili casini, se ne stava per i cavoli suoi. A pranzo mangiò seduto da solo, in un angolo del tavolo più in fondo della mensa. Mangiando sentiva i sensi di colpa pian piano diminuire per fare spazio a una certezza: dividersi per sempre dai suoi migliori amici.
Dove ne avrebbe trovati altri così? Nei suoi ricordi, il tempo passato con loro era perfetto e tutto ciò gli cerò molta nostalgia. La solitudine e il silenzio facevano male perché in quei momenti la sua mente era assordata da tantissimi pensieri.
Tutto da quel momento in poi lo avrebbe fatto da solo.
Passarono così altri quattro giorni, stando sempre da solo, mangiando da solo, non parlando con nessuno. Il quinto però, al suo solito tavolo arrivò Selene, e si sedette di fianco a lui.
“Perché non ci chiedi scusa?” domandò lei, cercando di riallacciare.
“Non servirebbe a nulla”. Rispose lui.
“Almeno potresti scusarti, secondo me avresti meno rimorsi”.
“Cosa ne sai te?” chiese lui, arrabbiato.
“Ne so più di te, altrimenti non saresti qui” continuò lei.
“E dove dovrei essere scusa?” disse lui.
“Avresti dovuto scusarti, sarebbe stato meglio per tutti”. Finendo il suo discorso, Selene si alzò andandosene. Davis odiava il suo modo di fare, detestava il tono con cui gli parlava, facendolo sembrare l’unico idiota nel mondo, facendo apparire tutto il resto sfocato e lui in primo piano, bastardo e colpevole, anche solo guardandolo con i suoi occhi ramati. Quella fu l’ultima volta che le parlò a scuola. Mancavano pochi mesi alla fine della scuola, alla maturità, all’abbandono della parte migliore della sua vita. Doveva concentrarsi nello studio, certo avrebbe anche potuto scusarsi, ma lui rimaneva dell’idea che avrebbe peggiorato solo le cose, che non sarebbe servito a nulla se non a fargli fare una figura di merda.

Passò gli esami, fu promosso con un ottimo giudizio, trovando successivamente un facile accesso all’università. Si trasferì a pochi chilometri da quella città, trovando un appartamento da condividere con un certo Stewe, che frequentava la sua stessa classe. L’anno dopo mentre lui studiava per passare gli ultimi test d’istituto prima dell’estate, i suoi vecchi amici Nikki, Alan e Lorenz stavano svolgendo gli esami.
Un giorno gli fu dato l’invito, dal suo compagno di stanza, per il concerto di un gruppo di ragazzi che frequentavano la sua ex scuola superiore. Decise che poteva concedersi il piacere di rivedere i suoi vecchi compagni di scuola e così andò alla festa. Si trovava in un quartiere vicino alla scuola, in un locale un po’ imbucato, ma appariscente. Entrò, vedendosi arrivare in faccia un fascio di luce di quelli che, solitamente, mettono in discoteca o alle sagre. C’era una serie di tavolini e in fondo alla sala, il palco dove i ragazzi si stavano preparando. Ne riconobbe subito uno, il batterista, a cui aveva dato ripetizioni di matematica qualche anno prima. Si sedette al bancone, giacché era da solo attendendo l’arrivo del suo coinquilino, Stewe. Gli si avvicinò una ragazza, con un listino in mano, sorridente.
“Posso servirti qualcosa?” gli chiese.
“No grazie, aspetto un amico”. Guardandola negli occhi la riconobbe, e non gli parve vero che fosse veramente lei. Era Selene, quella ragazza che un anno prima l’aveva mandato, in poche parole, a quel paese. Nel suo viso si leggeva molta nostalgia che cercava di soffocare con uno sguardo serio. “Come stai Selene?” chiese il nostro vecchio.
“Tutto bene, il gruppo è sempre il solito.” Era molto scocciata, ma nello stesso tempo, sembrava felice di rivederlo.
“E La Macchia? Che fine ha fatto?...” lei lo interruppe subito “Me lo chiedi così, come se non te ne importasse più niente? Sei rimasto come prima, non sei cresciuto molto. Comunque se vuoi saperlo stai camminando proprio all’interno, della Macchia.”
“Cioè il nostro nascondiglio sarebbe questo? Un bar pubblico?”.
“Nostro? Osi dire ancora nostro?”. Lui cominciò a rattristarsi e a pentirsi di quello che aveva detto.
Possibile che io non faccia mai niente di giusto?
Nel frattempo arrivò Stewe, il quale si accorse subito che Davis stava male. Cominciò a fargli domande ma non ottenne risposte. Stewe entrò al bar, tra il caos della musica, chiedendo ai camerieri se era successo qualcosa. Un tipo in cravatta gli disse che Davis era uscito dopo aver parlato con Selene, e gliela indicò con il braccio. Il ragazzo andò da lei.
“Sei una dei vecchi amici di Davis?” le chiese. Lei annuì. “Avete visto come lo avete ridotto? Se penso a quello che ha fatto, avete avuto ragione ad arrabbiarvi. Ma non mi sembra il caso di tirarla lunga fino a questo punto. Son passati due anni quasi e ancora insistete? Quelli che non sono cresciuti siete voi. Comunque da quel giorno, lui non ha più una vita sociale. Esce solo con me, ogni tanto.”
Lei si sentì in colpa, non ebbe il coraggio di rispondere a Stewe. Era la prima volta che lei non rispondeva a qualcuno. Il suo carattere forte si era placato e si rese conto che forse il ragazzo che aveva di fronte non aveva tutti i torti.
Quest’ultimo uscì dal locale e portò via Davis da quel posto. Stewe, rassicurandolo, gli disse che non doveva più soffrire, era già troppo quello che aveva passato. La mattina dopo, all’alba, sentirono bussare alla porta. Stewe andò ad aprire, trovandosi davanti una ragazza seria. “Davis, c’è qualcuno che vuole vederti”. Davis andò alla porta, mentre l’amico sgusciò via. “Devo parlarti, puoi uscire un attimo?” le chiese lei. Così uscirono in giardino. Nella panchina, le parole di Selene scendevano a dirotto, talvolta interrotte da qualche sussulto. Lei si scusò per le brutte parole dette quella sera, e si scusò ancora di più per tutte quelle volte che non era andata da lui mentre sentiva la sua mancanza, lasciando scorrere tutto e rimanendo impassibile. Si rese conto che le sue scuse non bastavano, si sentiva uno schifo. Tutto a un tratto però, lui le asciugò le lacrime e la baciò. Tutto attorno a loro in quel momento era unico e lei sentì il suo cuore calmarsi a poco a poco, trovando conforto fra le braccia di Davis. Un gesto che la fece tranquillizzare e sentire bene.  
Da quel momento iniziarono a frequentarsi. Lui la portava fuori a cena il sabato sera. Dopo un mese di corteggiamento, Davis le chiese di mettersi insieme a lui, consapevole del fatto che Selene usciva anche con quelli del gruppo, mantenendo il segreto della loro relazione. 
Tutta questa felicità svanì la sera in cui gli amanti furono scoperti dal gruppo. Li sorpresero baciarsi in un parchetto, rimanendo un po’ delusi dal segreto che lei non aveva rivelato. Lorenz ordinò a Selene di andare con loro, convincendola che Davis l’avrebbe ferita prima o poi, ma lei non dava segno di approvazione.
“Non vi pare che la stiamo tirando troppo avanti questa storia? Ha sbagliato, ma adesso basta. E’ arrivato il momento del perdono. Se avrete ancora un briciolo di umanità seguirete le mie parole” disse lei, decisa. “Cosa stai dicendo? Vuoi abbandonarci per lui?” chiese Lorenz, infuriato. “Io la mia risposta l’ho data. Ora vorrei sapere l’opinione degli altri, se ascolteranno la loro anima o la loro mente. Volete che Davis torni con noi?”. Chiese Selene. Gli altri annuirono dopo una breve consultazione.
“Mi sembra di stare all’asilo” disse Lorenz, andando via.
Con la testa bassa camminava verso la parte opposta, voltando le spalle agli altri, ripensando a tutto e a tutti. L’avevano tradito. O lui aveva tradito gli altri? Improvvisamente una moto gli arrivò di fronte, lui non si spostò dal centro della strada, troppo immerso nei suoi pensieri per comandare al cervello di muoversi. Restò fermo illuminato dai fari del veicolo. Non si fece male, no. Successe tutto lentamente, quasi a rallenty. Una spinta impulsiva lo fece cadere, e da terra vide il corpo di Davis steso sull’asfalto pungente di fianco alla moto.
Lorenz corse verso il suo vecchio amico e gli mise un braccio attorno al collo, facendolo alzare. Gli altri intanto, in panico, chiamarono un’ambulanza. Davis sentì il rumore ferrico della barella mentre lo portavano via. Aveva la vista offuscata e non riusciva a riconoscere nessuno, solo delle ombre attorno a lui. Lo accompagnò proprio Lorenz all’ospedale. Nell’ambulanza, gli tenne la mano tutto il tempo. Lo vide pian piano muovere le labbra, per dire qualcosa. Lorenz appoggiò la testa sul petto di Davis, per sentire il suo cuore, per ringraziarlo di quello che aveva fatto, e in quel momento sentiva che forse si sarebbe meritato lui quella barella e quel mezzo stato di coma in cui si trovava il ragazzo. Sarà stata l’atmosfera di compassione, il grigio buio che li circondava. Sarà stata la pioggia, che arrabbiata iniziava a picchiare sulla cappotta dell’ambulanza. O forse sarà stato solo il desiderio di avere quell’amico di nuovo con lui che gli faceva scendere gocce salate dagli occhi, con un amaro sapore di colpa.
Sono uno stupido, dovevo ascoltare i miei compagni, dovevo perdonarlo. L’ho rifiutato troppe volte. E tutto per ottenere cosa? Niente solo dolore. Ho messo in pericolo la sua vita, sono un idiota!   
Arrivarono all’ospedale e per tutto il tempo della visita, Lorenz rimase nel corridoio ad attendere le notizie riguardo allo stato di Davis. Stava per addormentarsi quando arrivò l’infermiera. “Per fortuna la caduta non ha comportato gravi danni. A livello cerebrale non ci sono lesioni, ha solo un taglio superficiale nella fronte. E un braccio da ingessare”. Lorenz si alzò in piedi di colpo, contentissimo per le parole dell’infermiera anche se allo stesso tempo era ancora amareggiato per ciò che aveva fatto. “Posso entrare?” chiese lui. “Ti sta aspettando” rispose l’infermiera. L’amico era disteso nel letto bianco, con un’espressione felice. Gli occhi erano ancora socchiusi, come se avesse perso il senso della vista. “Lorenz…scusa” disse Davis, sforzandosi di pronunciare quelle parole. Lorenz rimase un po’ confuso. “Non devi neanche dirlo” disse avvicinandosi all’amico ferito. Si sedette nel letto, di fianco a lui. Lo vedeva sofferente, ma felice. Aveva la tentazione di abbracciarlo per ringraziarlo ma qualcosa lo frenava. Non si spiegava il perché. Probabilmente era solo felicemente invidioso del suo gesto. “Che ne dici di Heaven?” chiese improvvisamente Davis all’amico. “Che vuoi dire con Paradiso?” disse Lorenz. “Un nuovo nome per La Macchia” rispose Davis. Lorenz rivolse un attimo lo sguardo al soffitto, poi parlò: “Bello, davvero. In effetti, Macchia era un po’ antico”. 

giovedì 22 aprile 2010

E finalmente il quarto racconto :)

Il titolo del quarto racconto è:
"FUGA DA MADRID"



scritto da: Marta Iselle
riveduto e corretto da: Giulia Vigolo
supporto, informazioni tecniche e consigli: Elia Bonetto

P.S. questo racconto anche se breve è stato diviso in tre parti. Il racconto completo potrete scaricarlo andando sul link a fondo pagina. Se volete leggere il racconto ed avere la divisione in parti cliccate QUI.




PARTE 1





La ragazza usciva in quel momento da casa sua, chiudendo la porta con la notevole chiave d’argento che luccicava al brillare del sole. Alle spalle si lasciava un edificio considerevolmente moderno e perfettamente centrato in un giardino in cui ci si poteva benissimo costruire un Luna Park. Con passo sensuale, facendo attenzione a mettere adeguatamente un piede davanti all’altro per far risaltare la bellezza della sua camminata, si dirigeva verso il cancello principale. Li, ad attenderla, c’era la sua limousine bianca. Entrò accompagnata dall'autista che le apriva la porta mentre lei stava attenta a non stropicciare la giacca estiva, in cui era appoggiato Taylor, in braccio alla ragazza. Taylor era il suo spitz, un cagnolino di taglia piccola che quel venerdì, come ogni settimana, stava andando a farsi la toelettatura, mentre la padrona spendeva i suoi quattrini in lampade, manicure e pedicure.....continua qui

PARTE TRE - FUGA DA MADRID




All’alba si salutarono all’aeroporto. Tutti gli studenti erano esageratamente tristi per l’abbandono della stupenda città. In aereo, la migliore amica di Eleonora si sedette, come'era logico che fosse, di fianco alla sosia Mireya. Questa contava più che altro sul fatto che gli occhiali da sole che indossava le coprissero abbastanza il volto: le ragazze, si sa, notano ogni particolare. Mentre la classe tornava in Italia, in Spagna Ele approfittò di quel sabato mattina per andare a fare un giro tra i negozi. Adorava il look della sua compagna. In giro per il centro c’era tantissima gente e, ricordandosi del negozio che aveva visto il martedì visitando la città, si diresse verso quella direzione. Lo trovò subito, appariscente com’era. Fece qualche giro tra i camerini, provandosi uno dopo l’altro i capi di abbigliamento di quel negozio. Sfruttando un po’ di quattrini che si era portata da casa, si comprò due vestiti e una maglia piuttosto cortina. La sua compagna, a ora di pranzo, doveva essere arrivata a casa. Eleonora era molto preoccupata per la reazione che avrebbero potuto avere i suoi genitori quando si sarebbero accorti che era ritornata la figlia sbagliata e sperava che quel momento avvenisse il più tardi possibile.
Quel sabato sera, Eleonora si mise a scrivere una lettera all’amica straniera, per chiederle se andava tutto bene. Fu interrotta, però, dal suono improvviso del campanello. Scese a vedere chi fosse arrivato e inaspettatamente vide dal video-citofono i volti dei genitori di Mireya.
"Questa non ci voleva" penso dentro di se. Gli aprì, trovandoseli di fronte.
-Allora? Non sei contenta che siamo arrivati prima? - chiesero loro, vedendola un po’ persa.
-Si si! Che bella sorpresa! - rispose, cercando di imitare perfettamente la voce della loro figlia, oltretutto parlando in spagnolo. Loro non si accorsero della differenza, forse pensavano che avesse cambiato look o forse erano troppo felici di vederla che non si resero conto dei particolari. Tutto questo però fu di breve durata. Infatti, la mattina seguente, quando si svegliarono, Mireya era solita preparargli la colazione. Eleonora, a quel punto, non si tirò indietro anzi, cercò di ricordarsi quello che di solito gli veniva preparato. Andò in cucina, disponendo le tazzine nel vassoio e prendendo una brioche per ognuno. Fece il caffè, con tanto di schiuma abbondante, come piaceva a loro. Quando fu tutto pronto, lo portò in camera. Deliziarono la colazione, ma quando il “padre” assaggiò il caffè, il suo viso assunse un colore indefinito.
-Miry, come mai non hai messo lo zucchero? - chiese, disgustato. -Ops! Scusami! - rispose Ele, andando a prendere dello zucchero in cucina. Appena lo prese dalla dispensa, Taylor corse da lei e, per giocare, le morse leggermente il piede. La ragazza, colta di sorpresa, cadde portandosi dietro non solo lo zucchero ma anche qualche kilo di pasta e alcuni pacchetti di biscotti. Si sentì subito mortificata. Quando alzò la testa per rimettersi in piedi vide, alla sua destra il cane che la guardava divertito e a sinistra due paia di piedi. Li guardò dispiaciuta.
-Miry, è da ieri sera che sei strana, tu ci nascondi qualcosa -. Lei abbassò subito lo sguardo.
-Aspetta aspetta, come mai non hai la tua collana preferita? Non te la togli mai … - chiese la “madre”.
-L’ho … lasciata in bagno, l’avevo tolta per fare la doccia e ho dimenticato di metterla - disse Eleonora, ma questa sua risposta un po’ balbuziente fece preoccupare ancora di più gli adulti. Eleonora raccolse il disastro che aveva combinato. Intanto i genitori tornarono al piano di sopra. Andarono in camera della ragazza, per controllare se aveva nascosto qualcuno. Quello che trovarono, però, fu molto peggiore. La diciassettenne aveva lasciato sopra il comodino, dalla sera prima, la lettera che stava scrivendo all’amica. Loro, pensando che fosse di un ragazzo e, preoccupati perciò che qualcuno l’avesse fatta soffrire, la lessero. Era incompleta, anzi le uniche cose state scritte erano:

“Cara Mireya, qui si sente la tua mancanza. Spero che li stia andando tutto bene, vorrei sapere le novità che ….”

E la lettera si sfumava qui, in un “che” che aveva tutta l’aria di includere il guaio in cui si era cacciata Mireya.
Eleonora tornò in camera e quando varcò la porta, si trovò i genitori davanti, con aria furiosa.
-Eleonora? - chiese il “padre”. Ele sbarrò gli occhi, fissando il vuoto. -Dov’è nostra figlia? Rispondi stupida! - continuò la madre, con le lacrime agli occhi.
La ragazza non rispose. Non riusciva a pensare a nulla, come ogni volta che doveva farsi venire in mente qualcosa. Le arrivò uno schiaffo dritto sulla guancia dalla donna.
-In Italia - rispose finalmente Ele. -Ma sei impazzita??? - e un altro schiaffo le arrivò.
-Smettetela! È lei che mi ha chiesto tutto! - confessò la ragazza. -...mia figlia non farebbe mai una cosa del genere! Cos’è successo??? - chiese l’uomo.
- … venerdì si è fermata a dare dei soldi a una signora che chiedeva l’elemosina e questa le ha letto la mano. Le ha detto che tra ieri e oggi sarebbe arrivato un regalo inaspettato e che avrebbe fatto un incidente. È venuta da me piangendo e chiedendomi di poterci scambiare -.
A quel punto loro tacquero. Successivamente a quella discussione, i genitori chiamarono Mireya al cellulare, dicendole di prepararsi. Quando uscirono dalla porta, la ragazza si ricordò di aver dimenticato il telefonino in casa. Tornò all’interno dell’edificio a prenderlo e quando uscì, trovò due auto entrambe piuttosto distrutte. La Jaguar xj220 dei suoi e una Porsche boxster nera. Delle persone stavano chiamando la polizia. Lei rifletté un attimo. Se non si fosse dimenticata il telefono in casa, probabilmente in quel momento starebbero chiamando l’ambulanza. Era una fortuna per lei, ma anche per Miry, che sarebbe dovuta finire sotto quelle macchine. Ringraziò Dio anche per i suoi genitori, che fortunatamente erano riusciti ad evitare di essere colpiti nella parte anteriore della macchina. Tom e la moglie portarono Ele all’aeroporto e la fecero salire insieme a loro in un jet di loro proprietà. In due ore, furono a Treviso, nel Nord dell'Italia, dove la ragazza li stava aspettando. Appena si videro, le due ragazze si abbracciarono.
-Che hai fatto qui? - le chiese Mireya, accarezzandole la guancia.
-Qualcuno pensava che ti avessi fatto del male - rispose l’altra.
-Mi dispiace tantissimo! Scusa! - disse Mireya, mortificata.
-Non ti preoccupare! Comunque ti sei persa i tuoi genitori che per farti una sorpresa sono rientrati sabato sera e un incidente che per grazia di Dio sono riuscita ad evitare -. Poi aggiunse: -A te com’è andata, invece?-
-Mi hanno scoperto subito ma i tuoi genitori sono fortissimi! Mica si sono arrabbiati sai? Erano solo spaventati all’inizio! - spiegò Miry.
Entrambe si misero a ridere, coinvolgendo anche i genitori di entrambe le famiglie. Sebbene lo scambio durò così poco, l’esperienza fu irripetibile. Prima di lasciarsi, le due ragazze si abbracciarono di nuovo, promettendo di rivedersi.

FINE

PARTE DUE - FUGA DA MADRID




Sebbene quella dimora fosse così grande e lussuosa, la ragazza che viveva all’interno era veramente cortese. Era un piacere parlarci insieme. Quella sera, per far sentire la ragazza italiana a suo agio, Mireya ordinò della pizza per cena. Quando si fece tardi, si misero in salone a parlarsi, per conoscersi un po’. La ragazza del posto parlava bene l’italiano, nemmeno si sforzava più di tanto. Eleonora, a un certo punto, le fece una domanda che forse si pentì di fare per la risposta che avrebbe potuto ricevere.
-Ma … i tuoi genitori? -.
Mireya, però non fu per nulla dispiaciuta di rispondere.
-Li vedo solamente di domenica, svolgono un lavoro importante non proprio qui a Madrid. È anche per questo che, da fuori posso sembrare antipatica e snob dal mio modo di apparire. Cercano di viziarmi per farmi pesare meno la loro mancanza. Lo fanno solo per me, ed io lo apprezzo, anche se non vorrei essere giudicata male -.
Eleonora cercò lo stesso di cambiare discorso e parlarono di scuola, musica e ragazzi. Dopo quella chiacchierata andarono nelle loro stanze. Nonostante tutto, Eleonora iniziava a sentirsi bene e prese fiducia in se stessa, convincendosi che sarebbe riuscita ad adattarsi molto presto. Il giorno successivo conobbe i genitori della ragazza spagnola, potendo constatare che fossero veramente delle brave persone. Per il resto della settimana, il mattino si ritrovavano tutti a scuola, mentre nel pomeriggio si visitava la città dividendo in tappe il tempo a disposizione. Quello che veramente ci interessa, successe il venerdì, ovvero il giorno prima che i ragazzi italiani partissero per tornare al loro paese. Prima di far ritorno agli alloggi, Mireya passò a prendere Taylor che, come ogni venerdì, doveva farsi la toelettatura. Lungo il margine della strada, però, era seduta una donna sulla quarantina, vestita di stracci, che chiedeva l’elemosina. La ragazza, di animo buono, si intenerì, dandole una banconota da venti euro. La signora, per ricambiare il gesto della biondina, si offrì di leggerle la mano. Ovviamente Mireya non rinunciò, giacché era pure abbastanza curiosa di sapere il suo futuro. Era una persona che dava fiducia anche agli oroscopi.
-Ragazza, le carte mi dicono che in questi giorni ti accadranno due cose: riceverai un regalo inaspettato ma, mi dispiace dirlo, avrai un brutto incidente -.
La ragazza rimase ferma per un attimo, concentrandosi sulla parola “incidente”. Poi si alzò, ringraziando la signora con un sorriso. Ritirò il cane, poi tornò a casa. Eleonora, che intanto aveva preparato il risotto per cena, riconobbe subito che qualcosa turbava la compagna, giudicando dall’espressione che invadeva il suo volto. Quindi, senza pensarci due volte, andò a chiederle cosa fosse successo per essere così triste, ma Mireya, impassibile, le rispose che era solo un po’ stanca. Mangiarono il delizioso risotto con i funghi preparato da Eleonora, dopodiché questa accompagnò l’amica a dormire, per farla riposare. Rimase dispiaciuta per questo, era l’ultima sera e potevano guardarsi un bel film horror per terminare la vacanza. D'altronde non voleva influire nelle questioni personali della compagna, anche se la preoccupazione era comunque rimasta.
Mireya, per tutta la notte non chiuse occhio, pensando a quello che le aveva detto la signora qualche ora prima. Pensava a quando era bambina, l’incidente che aveva avuto in barca quando stava per affogare e al padre che riuscì a salvarla per miracolo. Il padre, però, non poteva esserci in quel momento. Gli salirono alla mente mille pensieri e mille paranoie, facendola preoccupare.
Alle tre di notte, Eleonora sentì una mano che le toccava il viso, facendola svegliare. Davanti a lei, trovò Mireya, con gli occhi lucidi. Aveva appena finito di piangere.
-Che succede Miry? -.
-Ele, oggi tornando ho incontrato una signora che chiedeva la carità e le ho dato dei soldi. Lei in cambio mi lesse la mano, dicendomi che durante la prossima settimana avrei avuto un incidente. Ho paura per questo, mi devi aiutare. Stanotte ci ho pensato parecchio e volevo chiederti se ti andava di scambiarci … -.
-Scambiarci? - chiese confusa la compagna.
-Si, tu sarai me per un po’. Io partirò al posto tuo - disse Mireya.
-Ma sarebbe impossibile! Cosa diranno gli altri? - domandò Eleonora.
-Non se ne accorgeranno. Ci assomigliamo parecchio, vedrai che con un po’ di trucco saremo identiche. Per favore! - rispose Mireya.
L’altra ci pensò. Sarebbe potuta stare in quella casa fantastica in quella città fantastica? Era la cosa migliore che potesse capitarle!
-Per me sarebbe, inoltre, fantastico stare qui. L’unico problema sarà casa mia, non so se ti ci potrai trovare bene - disse Eleonora.
-Non preoccuparti per questo, non sono mica così schizzinosa! -, rispose la compagna, comportando una breve risata.
Andarono così in bagno, armate di trucchi, vestiti e piastra. Mireya, una vera esperta nel settore di estetica, gli passò un po’ di fondotinta, dopodiché le truccò gli occhi con dell’ombretto blu brillante. Le mise qualche puffata di fard ai lati delle guance e del lucidalabbra. Infine, le stirò i capelli. Lei, invece, restò naturale, senza un filo di trucco. Si scambiarono i vestiti. Eleonora le fece indossare una maglietta azzurrina abbastanza larga e un paio di shorts verdi, mentre a lei fu prestata una minigonna con le pailette e una canottiera attillata color prugna intonata a degli stivali tacco 7 fino al ginocchio. Si andarono a specchiare, rimanendo stupite dall’evidente somiglianza che c’era tra loro. La faccenda si stava facendo parecchio interessante.

PARTE UNO - FUGA DA MADRID



La ragazza usciva in quel momento da casa sua, chiudendo la porta con la notevole chiave d’argento che luccicava al brillare del sole. Alle spalle si lasciava un edificio considerevolmente moderno e perfettamente centrato in un giardino in cui ci si poteva benissimo costruire un Luna Park. Con passo sensuale, facendo attenzione a mettere adeguatamente un piede davanti all’altro per far risaltare la bellezza della sua camminata, si dirigeva verso il cancello principale. Li, ad attenderla, c’era la sua limousine bianca. Entrò accompagnata dall’autista che le apriva la porta mentre lei stava attenta a non stropicciare la giacca estiva, in cui era appoggiato Taylor, in braccio alla ragazza. Taylor era il suo spitz, un cagnolino di taglia piccola che quel venerdì, come ogni settimana, stava andando a farsi la toelettatura, mentre la padrona spendeva i suoi quattrini in lampade, manicure e pedicure.
Eleonora, invece, stava distesa nel suo letto, osservando il fratellino che, con le lego, si costruiva il camion dei rifiuti. Non pensava a nulla, nemmeno al fatto che il giorno dopo avrebbe lasciato la sua famiglia per una settimana. Il giorno successivo sarebbe partita con la sua classe del liceo scientifico per una vacanza studio di destinazione Spagna. Ci aveva già pensato troppo il mese antecedente, immaginandosi alle uscite in quella meravigliosa città che avrebbe visitato: Madrid. Fatto sta che quel venerdì non era nemmeno un po’ nervosa per la partenza. Insomma, solitamente la gente si preoccupa del viaggio in aereo, della salute, dei vestiti e degli optional che dovrebbe portarsi via. Invece lei fissava il soffitto, l’azzurro satinato di cui era dipinto, senza pensare alle circostanze. Sua madre entrò di colpo, facendola alzare di soprassalto. -Ele, hai preparato la valigia? -. Lei fece cenno negativo con il capo, facendo aggrottare le sopracciglia della madre, un po’ scocciata. -Fa in modo che siano pronte prima delle sette di sera -, concluse, andandosene. Eleonora però, sapeva benissimo che la reazione del genitore era influenzata dalla sua partenza. Dopotutto, una madre è sempre un po’ in ansia per i propri figli. Senza farselo ripetere, colmò quelle due ore che precedevano l’orario di cena per riempire la sua valigia di pelle con qualche paio di jeans, delle t-shirt carine e un paio di vestiti eleganti in caso di sera fossero usciti in qualche locale al top. Ci mise all’interno anche il suo profumo preferito e gli accessori indispensabili per stare lontana da casa per una settimana.
Il giorno seguente si alzò grazie alla sveglia, alle cinque del mattino. Doveva prepararsi in due ore, controllare se aveva preso tutto e abbandonarsi a qualche minuto per rendersi conto che la situazione non fosse un sogno. Andò a farsi una doccia, dopodiché passò ai capelli. Indecisa se farsi la solita coda di cavallo, oppure una treccia più curata, li lasciò cadere naturali lungo la schiena. Si mise un po’ di eyeliner per far risaltare i suoi occhi azzurri coronati dal biondo dei suoi capelli lisci. Diede una controllata veloce alla valigia, poi partì con la madre verso l’aeroporto lasciando sopra al comodino del fratello una lettera di saluto, per non disturbare il suo dolce sonno. Ad aspettarla c’erano i suoi compagni, alcuni con il borsone, altri con bauli giganteschi. Per riassumere le due ore e mezzo di viaggio diciamo solamente che per tutto il tragitto Eleonora pensava, con la sua migliore amica che le era seduta accanto, alle foto che avrebbe scattato da mettere poi nel loro album, ma soprattutto sognavano i ragazzi spagnoli che avrebbero incontrato!
Arrivati a destinazione, trovarono ad aspettarli, 26 ragazzi che sarebbero stati i loro compagni di casa per sette giorni. I professori di entrambe le scuole si presentarono, riuscendo a capirsi per la somiglianza delle due lingue. Eleonora intanto chiese il permesso di prendersi un tè al bar, per calmare il mal di stomaco che le aveva procurato il distacco da terra. Quando tornò dai prof, vide che avevano già cominciato ad associare a ognuno il proprio compagno. A lei sarebbe toccata una ragazza di cui non si ricordava il nome, uno tipo Mora o Milagros, ma che in quel momento le sfuggiva. A Eleonora, però, non le misero di fianco nessuna Mora e nessuna Milagros, e i professori si guardarono con circospezione. Non c’era la sua compagna. A quel pensiero, dal corridoio di destra, vide avanzare a passi regolari una tipa in giacca bianca, aperta in un vestito beige sopra al ginocchio. Aveva i capelli lunghi, di un biondo tinto e la parte superiore del viso era coperta da un paio di grandi occhiali da sole. Il rumore dei suoi tacchi faceva eco per tutto il corridoio, conquistandosi l’attenzione di tutti. Era più simile a una stella di Hollywood più che a una studentessa. Quando arrivò di fronte ad Eleonora, questa si sentì assurdamente inferiore e malmessa in confronto alla ragazza in stile Lady Gaga che li stava di fronte. La tipa però, si dimostrò subito garbata, e dopo una stretta di mano le disse il suo nome. Mireya. Si tolse gli occhiali da sole, per educazione. Aveva un viso simpatico. Pur avendo quell’aria un po’ da snob, le fece un sorriso timido, vedendo che l’Italiana la stava fissando come fosse una modella.
Detto questo, quello che accadde nelle ore successive fu di essere accompagnati agli alloggi. Ognuno partì a piedi con il proprio studente spagnolo, intanto riuscendo a visitare qualche spezzone della bellissima città di Madrid. Quando Eleonora si trovò davanti alla casa di Mireya, pensò, anzi fu convinta, che avessero sbagliato abitazione. Invece la ragazza aprì il cancelletto accompagnandola all’interno della sua villa. Ele si fermò all’ingresso, per togliersi le scarpe, ma l’altra le fece capire che non ce n’era bisogno, e la condusse nella sua stanza a portare la valigia. Ovviamente, come riguardo al resto della casa, si sentì tremendamente nervosa. La sua stanza aveva un letto che era a dir poco favoloso, era un peccato perfino sedersi. Nelle pareti, erano appese riproduzioni di quadri di famosi pittori, di cui Eleonora riconobbe anche Klimt.

venerdì 16 aprile 2010

CHE MERDA.....


La vita è una merda..questo si sapeva..x questo bisogna solo provare a renderla migliore..a volte bisognerebbe fregarsene di quello che ti dicono, a volte devi perdere alcune persone che ci fanno solo stare male..bisognerebbe riuscire a dimenticare alcune cose, alcune persone per sempre..riuscire a darsi la forza di andare avanti sempre qualsiasi cosa succeda, vivere al meglio ogni momento, stare con gli amici, amare..riuscire a fregarsene dei problemi degli altri..riuscire a lasciare che se la sbrighino da soli..costruire solo amicizie e legami superficiali in modo da riuscire a non stare male succedesse mai qualcosa..bisognerebbe riuscire a non stare male per gli altri..avere il potere di tornare indietro nel tempo e cancellare i propri sbagli..perchè sbagliando si impara ma gli sbagli non si cancellano..e a volte sono troppo gravi come sbagli per essere rimediati..a volte rovinano estati..a volte rovinano legami..a volte rovinano vite..si dovrebbe riuscire a rialzarsi ogni volta che questa società di merda e questo mondo del c***z* ti buttano a terra ti passano sopra..riuscire a trovare sempre la forza di combattere e rialzarsi..riuscire ad avere sempre un obbiettivo da raggiungere..e qualche sogno nel cassetto da realizzare..riuscire ad avere la forza di reagire, avere qualcosa per cui combattere.. anche se a volte vorresti farla finita con tutti e tutto e ti sembra ci sia una sola soluzione ai tuoi problemi..nella vita bisognerebbe avere sempre qualcuno k ti sia vicino nei momenti in cui hai bisogno..i veri amici insomma..quelli che stanno con te anche quando stai male e che stanno con te quando preferirebbero essere altrove quelli che non ti voltano le spalle e che non ti usano solamente..anche se questi a volte non bastano non riescano a fare niente per te, non riescano a sostenerti, e ti senti doppiamente una merda perché li fai star male raccontandogli i tuoi problemi e loro ci stanno male per te e stanno male perché non riescono ad aiutarti..e ti senti SOLO……………SOLO…………e poi ci sono i periodi in cui devi staccare la spina..allontanarti da tutto, da tutti, non sentire nessuno, ognuno ha i suoi tempi, giorni, settimane, chissà mesi..ci sono di questi periodi e nessuno ci può fare niente, devi staccarti pensare solo a te stesso ritrovare quello che eri un tempo, ritrovare la voglia di vivere, la forza di andare avanti, e di ricominciare, ancora per una volta, quel ciclo vizioso che ti porterà di nuovo a star male, a soffrire, ad essere messo a terra, a doverti rialzare per non essere sommerso e ucciso, e a ricominciare a combattere..insomma..ricominciare a vivere..a vivere questa bellissima(nel vero senso della parola, non è ironico)vita di merda..

Elia Bonetto

giovedì 8 aprile 2010

PER RIDERE UN PO' :)

Un signore viaggiava in aereo ed aveva un urgente e improrogabile bisogno del bagno che però era occupato.
Chiese perciò all’hostes il permesso di utilizzare il bagno delle donne che, in quel momento, era libero.
Entrato in bagno il signore notò che i quattro pulsanti avevano questi nomi :
pulsante "SPA", pulsante "SAA", pulsante "SBA" e pulsante "RAT".
Il protagonista di questa storia, dopo essersi alleggerito a dovere, sentì crescere in lui un’enorme ed irresistibile curiosità sul funzionamento dei quattro bottoni.
Premette allora il primo pulsante, quello con la scritta "SPA" (Sistema di Pulitura Automatica). Sentì un getto di acqua tiepida sul sedere e sugli attributi e pensó: “Questo bagno è una delizia, ora capisco perché le donne ci trascorrono delle ore”.
Successivamente premette il pulsante con la scritta “SAA" (Sistema di Asciugatura Automatica), e subito ci fu un getto d’aria calda diretto sulle medesime parti che prima erano state lavate. Non poteva crederci!
Quando azionò il successivo pulsante, "SBA" (Sistema di Borotalco Automatico), le sue terga furono raggiunte dalla soave carezza di una leggerissima spugna impregnata di borotalco aromatico. Quell’esperienza stava raggiungendo quote di insospettabile piacere.
E, infine, schiacciò il quarto pulsante “RAT"... e perse ogni nozione. Quando si risvegliò non sapeva né dove fosse, né come vi era giunto, né che ora era.
Gli si avvicinò un’infermiera molto gentile e gli spiegò che si trovava in un ospedale, dove era giunto da due giorni in stato di shock traumatico, ma che erano ormai riusciti a normalizzare i suoi parametri vitali.
Ancora scosso lui domandò: - “L’aereo ha avuto un incidente terribile, non è vero?”.
“No signore, l’aereo è atterrato regolarmente a destinazione” Rispose l’infermiera
“Allora, cose è successo?”
Lei ha schiacciato il pulsante "RAT" (Ritiro Automatico del Tampax) e...
...il suo pene lo trova in una scatoletta, sotto il cuscino.

Elia Bonetto, Giulia Vigolo, Iselle Marta

domenica 4 aprile 2010

IN ARRIVOOOOOOOO!!!!


Ecco in arrivo il quarto libro..speriamo che vi siano piaciuti tutti fin'ora e speriamo che questo vi piaccia ancora di più.
Parlerà di uno scambio di persona..ma tutti i dettagli vi verranno svelati più avanti!!!!
A presto,

Elia Bonetto, Giulia Vigolo, Iselle Marta

mercoledì 31 marzo 2010

LA MUSICA...IMMANCABILE..

"La musica è l'armonia dell'anima" Alessandro Baricco
Musica..chi può vivere senza di lei? Potrebbe sembrare un post argomentativo..bè non è così..il motivo principale è che senza la musica…mancherebbe una parte di me!
Cosa ascolto?
Un po’ di tutto..qualsiasi cosa…dal classico al rock…da De Andrè agli Ac/Dc passando per Queen Vasco Nickelback e Sum41.
Generi?
Rock, pop, musica italiana…devo farvi l’elenco???Con qualsiasi cosa intendo letteralmente qualsiasi cosa..a voi la scelta..se qualcosa mi piace mi piace e basta. Punto. Nessuna spiegazione. Nessun preconcetto mentale. Niente di niente. Mi piace. Magari è anche l’unica canzone di quell’artista o di quel gruppo che mi piace o una delle poche che al contrario mi fa schifo.
Se non ti va bene e vuoi farmi ascoltare quello che piace a te e mi dici che quello che ascolto fa schifo..bè..ne prendo atto..ti dico “OK..ognuno ha i propri gusti e le proprie idee”.
Se vuoi convincermi che quello che ascolti è bello ok provaci. Spero ci riuscirai.
La musica a cosa serve? A darti forza nei momenti difficili, ad accompagnarti in alcuni momenti della vita, a tenerti compagnia quando ti senti solo, a farti piangere a volte, a farti ridere a darti la carica, a cantare con gli amici..
Non vi è mai capitato di mettervi su le cuffiette e ogni due secondi mettervi a cercare e rimettere la stessa canzone all’infinito?
Non vi è mai capitato di trovarvi in macchina, accendere la radio, sentire “E ora trasmettiamo…..”, QUELLA canzone, LA canzone…alzare il volume e magari cantarla?
Non vi è mai capitato di ascoltare qualcosa e perdervi nei vostri pensieri e non sentire altro che voi stessi?
O pensare che QUELLA musica era perfetta per QUEL momento della vostra vita o per quel periodo che stavate vivendo?
Bé..a me si..molto spesso..molto molto frequentemente..questo e molto altro…mi sono ritrovato la mattina alle 7.50 in tram a cantare le canzone dei cartoni animati con gli amici..mi sono ritrovato a piangere ascoltando alcune canzoni che mi ricordavano alcune persone, alcune che ho detto “MA CHE SCHIFO!!” e dopo un po’ di anni sono diventate le mie preferite..
Periodi nei quali vado avanti con un gruppo solo e periodi che ne lascio da parte perché non li sopporto..
Quindi non chiedetevi perché nella playlist ci sono tante canzoni, tanti generi diversi, anche personaggi che, purtroppo, non avete mai sentito nominare..sono canzoni che hanno segnato la mia vita, nel bene o nel male, che mi hanno accompagnato, che sono dentro di me per un motivo o per l’altro. Se non vi piacciono non ascoltatele semplicemente. Non è obbligatorio. C’è libertà in questo paese. Potete provare a conoscermi anche per quello che ascolto, per certi versi c’è molto di me in alcune canzoni. Non venite a dirmi fa schifo fai pena perché ascolti quella roba li. Non ne vale la pena..nemmeno vi ascolterei.
Ve l’avevo detto..non riesco a dire niente contro la musica ragazzi, mi dispiace, se potete aiutarmi a trovare qualche lato negativo vi ringrazio J

Elia Bonetto