...il solo sapere che un buon libro sta aspettando alla fine di una lunga giornata rende quella giornata più felice...

Kathleen Norris

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mercoledì 31 marzo 2010

LA MUSICA...IMMANCABILE..

"La musica è l'armonia dell'anima" Alessandro Baricco
Musica..chi può vivere senza di lei? Potrebbe sembrare un post argomentativo..bè non è così..il motivo principale è che senza la musica…mancherebbe una parte di me!
Cosa ascolto?
Un po’ di tutto..qualsiasi cosa…dal classico al rock…da De Andrè agli Ac/Dc passando per Queen Vasco Nickelback e Sum41.
Generi?
Rock, pop, musica italiana…devo farvi l’elenco???Con qualsiasi cosa intendo letteralmente qualsiasi cosa..a voi la scelta..se qualcosa mi piace mi piace e basta. Punto. Nessuna spiegazione. Nessun preconcetto mentale. Niente di niente. Mi piace. Magari è anche l’unica canzone di quell’artista o di quel gruppo che mi piace o una delle poche che al contrario mi fa schifo.
Se non ti va bene e vuoi farmi ascoltare quello che piace a te e mi dici che quello che ascolto fa schifo..bè..ne prendo atto..ti dico “OK..ognuno ha i propri gusti e le proprie idee”.
Se vuoi convincermi che quello che ascolti è bello ok provaci. Spero ci riuscirai.
La musica a cosa serve? A darti forza nei momenti difficili, ad accompagnarti in alcuni momenti della vita, a tenerti compagnia quando ti senti solo, a farti piangere a volte, a farti ridere a darti la carica, a cantare con gli amici..
Non vi è mai capitato di mettervi su le cuffiette e ogni due secondi mettervi a cercare e rimettere la stessa canzone all’infinito?
Non vi è mai capitato di trovarvi in macchina, accendere la radio, sentire “E ora trasmettiamo…..”, QUELLA canzone, LA canzone…alzare il volume e magari cantarla?
Non vi è mai capitato di ascoltare qualcosa e perdervi nei vostri pensieri e non sentire altro che voi stessi?
O pensare che QUELLA musica era perfetta per QUEL momento della vostra vita o per quel periodo che stavate vivendo?
Bé..a me si..molto spesso..molto molto frequentemente..questo e molto altro…mi sono ritrovato la mattina alle 7.50 in tram a cantare le canzone dei cartoni animati con gli amici..mi sono ritrovato a piangere ascoltando alcune canzoni che mi ricordavano alcune persone, alcune che ho detto “MA CHE SCHIFO!!” e dopo un po’ di anni sono diventate le mie preferite..
Periodi nei quali vado avanti con un gruppo solo e periodi che ne lascio da parte perché non li sopporto..
Quindi non chiedetevi perché nella playlist ci sono tante canzoni, tanti generi diversi, anche personaggi che, purtroppo, non avete mai sentito nominare..sono canzoni che hanno segnato la mia vita, nel bene o nel male, che mi hanno accompagnato, che sono dentro di me per un motivo o per l’altro. Se non vi piacciono non ascoltatele semplicemente. Non è obbligatorio. C’è libertà in questo paese. Potete provare a conoscermi anche per quello che ascolto, per certi versi c’è molto di me in alcune canzoni. Non venite a dirmi fa schifo fai pena perché ascolti quella roba li. Non ne vale la pena..nemmeno vi ascolterei.
Ve l’avevo detto..non riesco a dire niente contro la musica ragazzi, mi dispiace, se potete aiutarmi a trovare qualche lato negativo vi ringrazio J

Elia Bonetto

mercoledì 24 marzo 2010

TERZO LIBRO

Ah....mi sono dimenticato, anche questo come l'ultimo "romanzo"(chiamiamolo così), che abbiamo scritto sarà relativamente breve per permetterci di migliorare nelle parti dove ci sono state segnalate carenze di qualsiasi tipo...

Il titolo di questo terzo libro è:

"OLTRE LO SPECCHIO"

scritto da: Marta Iselle
riveduto e corretto da: Giulia Vigolo
supporto, informazioni tecniche e consigli: Elia Bonetto



Swan Hill, Alberta, Canada. 15 gennaio 1976



“Il cadavere è stato trovato del fosso della Southview Ave. Le braccia sfioravano il rivolo d’acqua stagnante, leggere. Le tracce di sangue erano inesistenti, ma l’espressione del viso ....


Per leggere tutta la storia clicca qui.

martedì 23 marzo 2010

CAPITOLO 1 - OLTRE LO SPECCHIO


Swan Hill, Alberta, Canada. 15 gennaio 1976


“Il cadavere è stato trovato del fosso della Southview Ave. Le braccia sfioravano il rivolo d’acqua stagnante, leggere. Le tracce di sangue erano inesistenti, ma l’espressione del viso lasciava immaginare la sofferenza di quella donna, con gli occhi aperti e spaventati, e le labbra socchiuse, in richiesta di aiuto.
Quando Tom ricevette la telefonata dalla polizia comunale per la comunicazione dello stato della moglie, si lasciò sfuggire una reazione di pazzia, e con furia uscì di casa, dimenticandosi dei figli. Il ragazzino di dieci anni, quando sentì il padre, scese dalle scale chiedendo spiegazioni senza ottenere risposta. Corrotto dalla curiosità infantile, lo seguì di nascosto e, uscito in giardino, vide che in quel momento svoltava l’angolo del vialetto. Dopo pochi isolati, il bambino si trovò di fronte due uomini in divisa e il padre inginocchiato a terra, in pianto. Quando si avvicinò e vide il corpo di sua madre abbandonato a quella tragica fine, pieno di odio e di dolore, scoppiò in lacrime correndo tra le braccia di Tom, che lo strinse forte a sé.
La gioventù di quel bambino fu rovinata per sempre.”

23 settembre 1982.


Quella sera, le strade erano deserte a Swan Hill. Regnava il silenzio. Nessuno calpestava le foglie secche sui marciapiedi, nessun bambino faceva cigolare le catene delle altalene del parchetto. Nemmeno nel ristorante di Harvey, il più popolare del paese, c’era anima viva. Non c’era traccia degli anziani che a quell’ora andavano a buttare la spazzatura, non si sentivano i ragazzini giocare né gli adulti che facevano festa quella domenica d’inizio autunno. Si respirava un’aria funerea persino per la St Home. Quella strada interamente ciottolata, compresa tra due mura, sboccava nella piazza principale del paese. Ed era lì che solitamente i ragazzi sulla ventina facevano il loro ritrovo quotidiano.
Lui camminava con la testa bassa, senza comandare il proprio corpo, affidandosi solo al suo istinto. Passava sopra a quei grossi ciottoli sentendoli aderire sotto la suola delle scarpe. Era sereno ma nello stesso tempo sicurissimo che qualcosa aveva rotto l’atmosfera di sempre.
Quando egli alzò la testa vide la fontana della piazza principale scorgere dall’accumulo di persone radunate in silenzio a semicerchio. Lui si accasciò contro il muro, nascosto, spiando le 1700 persone che abitavano in quel paese radunate come api in quel comune luogo. Stavano immobili, come gelide statue, con lo sguardo che si dirigeva verso una murata color amaranto sopra di loro, espressivamente trasformati dal turbamento. I loro occhi fissavano la figura di una donna di mezza età, inchiodata alla parete, china su se stessa, cosparsa di rivoli di sangue che le sporcavano la veste bianca.
Jayson, aguzzando la vista, riconobbe in quella donna sua zia Elizabeth, con la quale viveva dalla morte della madre avvenuta sei anni prima.
-ZIA!!!-
Urlò contro la folla. Nessuno l’ascoltò. Erano tutti quanti inerti, e lui era invisibile. Però non era sconvolto, tantomeno triste. Aveva già sofferto abbastanza e versato troppe lacrime nel suo passato. Subiva la situazione come un dèjà-vu in quella vita di incubi continui in cui aspettava solamente in momento di svegliarsi.


Capitolo numero 2

lunedì 22 marzo 2010

CAPITOLO 2 - OLTRE LO SPECCHIO


Tornò a casa, Jayson, nella Oxford Ave. Entrò, chiudendo impulsivamente la porta alle spalle, creando un rumore che fece eco sui muri. Ripose lo zaino in cucina, prese un pezzo di pane dalla dispensa e lo addentò, guardandosi attorno. Si mise a pensare alla sua vita schifa e poco soddisfacente, nella quale poteva trovare sfogo soltanto nei suoi libri. Leggere era l’unica cosa che lo interessava davvero. A scuola era evitato da tutti; odiava tutte le persone che cercavano di compatirlo per il suo passato e, conseguentemente al suo rapporto staccato, ormai più nessuno gli rivolgeva la parola. Se gli era possibile, marinava e andava nella libreria della signora Alba, a rintanarsi in uno dei suoi corridoi per sfogliare pagine dei romanzi. Gli interessavano più che altro quelli di filosofia e fantascienza.
Ormai però non ne poteva più. Era stanco di ripetere sempre le solite consumate e noiose giornate e in un certo senso era anche contento che qualcosa avesse rotto l’agonia di sempre. Ad un tratto da sopra la credenza dove solitamente la zia teneva i bicchieri il gatto grigio fumo Zak saltò con un balzo sopra il tavolo chiedendo, miagolando, del cibo. Il ragazzo gli diede un pezzo del pane che aveva preso e poi varcò la porta per andare al piano superiore, nella sua stanza. Salì quelle scale di pietra dove aveva tanto giocato quando era ancora una creatura innocente. Si distese nel letto, e spontaneamente buttò gli occhi a ciò che aveva davanti. Una fotografia di dieci anni prima. … Il padre Tom abbracciava sua moglie Grazielle che sorrideva e portava tra le braccia la figlia che da pochi mesi era entrata in famiglia; Jayson stava seduto sulle spalle del padre e gli cingeva le braccia al collo … Si alzò di scatto e d’impulso strappò la fotografia dal muro e la lanciò con foga in direzione della finestra. Andò a rompersi contro il vetro distruggendosi in tante piccole schegge.
-Jayson?- chiese fioca una voce dietro di sé. Lui si voltò subito, trovandosi di fronte alla sorellina Marie.
Aveva gli occhi lucidi, ed era pallida. -Che vuoi? Vai fuori!- rispose sgarbato il ragazzo, guardandola furioso. La ragazzina, spaventata andò via dalla stanza, chiudendo la porta.
Le aveva sempre mentito. Le aveva raccontato che la nonna che abitava in Inghilterra era malata e la mamma e il papà erano andati per assisterla, partendo dopo un anno dalla nascita di Marie. Le assicurava che un giorno sarebbero tornati. Nel frattempo dovevano restare dagli zii Elizabeth e Milford. Erano tutte bugie a cui lei credeva e si lasciava corrompere dal fratello. Ma in quel momento, Jayson, non se la sentiva di dirle che il motivo di tutta la confusione a Swan Hill era proprio la morte della zia. Non sapeva come replicare alla possibile reazione della sorella. Aveva paura di rovinare la vita anche all’unico membro della “famiglia” che riusciva ancora a sorridere e poiché Elizabeth era come una mamma per lei, probabilmente avrebbe reagito come Jayson alla notizia della morte di Grazielle. Poi, in fin dei conti non aveva voglia di un’altra faccia disperata, ma era consapevole che, prima o poi, la verità sarebbe arrivata anche per lei.
Si affacciò alla finestra e guardò in basso. La casetta di legno, il vecchio terranova Dreyk, i fiori appassiti e non curati, coronati dal fumo tetro del falò che ardeva nel campo di fronte e riempiva la terra di cenere. Morte. La città in delirio marciva con il resto della stagione.
Per tutta la notte Jayson non fece altro che rimanere seduto in un angolo della stanza, con le braccia conserte e gli occhi socchiusi. Non sentì Milford rientrare, non sentì proprio nulla. Quando l’alba donò i primi raggi, il ragazzo si rese conto di esistere. Quando si alzò in piedi avvertì dei crampi allo stomaco; perciò andò al piano inferiore a bere un sorso d’acqua. Proprio in quel momento lo zio rientrò, con lo stesso identico volto del giorno precedente. Passò sfiorando il ragazzo, senza degnarlo di una minima attenzione, procedendo verso la sala.
-Dove sei stato?- chiese allora Jayson. -Fuori- rispose Milford. Dalla voce e dal passo barcollante dedusse che fosse stato tutta la notte a riempirsi di alcolici. Il ragazzo non aggiunse altro, restò in sala a leggere una rivista.
Appena vide che lo zio iniziava a riprendersi, Jayson cominciò a prepararsi alcune domande. Lo colse di sorpresa, mentre sorseggiava del latte dalla tazza. -Hanno scoperto qualcosa? Voglio dire, com’è possibile che una persona si trovi inaspettatamente in quella situazione?-. Lo zio lo guardò alzando il sopracciglio destro, come se non avesse capito la domanda. O non l’avesse sentita. -Per favore Milford, spiegami … è già troppo ciò che non ho saputo di mia madre, adesso non nascondermi anche questo-. Lo disse quasi piangendo. Dopotutto era comunque sua zia e l’aveva allevato come un figlio poiché lei non ebbe avuto la possibilità di averne uno. -Pensi che se lo sapessi, in questo momento sarei qui, senza far niente?- rispose con tono acido lo zio. -ma…-
-Nessuno lo sa Jay! Usa il cervello una buona volta! Va al diavolo!-.
Era evidente che la sua reazione era influenzata dallo sconforto del giorno precedente; il nipote, deluso da quella brusca risposta, uscì di casa, dirigendosi verso la biblioteca.


Capitolo numero 3

mercoledì 17 marzo 2010

CAPITOLO 3 - OLTRE LO SPECCHIO


Passarono due settimane esatte, quando successe di nuovo.
Jayson tornò a casa da scuola, la quale nel frattempo era ricominciata regolarmente e, stanco, accese il televisore. Stava iniziando un documentario sui templari, quindi premette il pulsante 2 e iniziò a guardarsi le riprese delle scoperte di due archeologi. Nella sua stanchezza, il ragazzo si lasciò a poco a poco cullare dal divano finché non gli si chiusero gli occhi. Era la prima volta che dopo l’accaduto della zia riusciva ad abbandonarsi al sonno.
Venne interrotto di soprassalto da alcune urla. Spaesato si guardò attorno e il suo sguardo andò a posarsi sullo schermo del televisore, da cui provenivano.
"Biblioteca della Main Street"
Non fece a tempo a leggere anche le altre parole scorrevoli che agì d’istinto.
Uscì velocemente di casa, andando verso la sua biblioteca. Sapeva benissimo quello che avrebbe trovato. Iniziò a tremare mentre con passo forte percorreva la strada di casa sua. Svoltò l’angolo, passando davanti al parco. Si fermò un istante. Un flashback. La stessa identica atmosfera di quel 23 settembre da poco passato, l’aria nitida e opaca, senza vita. Nemmeno la sua ombra si estendeva nell’asfalto. Era da solo, lui e se stesso. Prese la Main Street, correndo a occhi chiusi per non soffermarsi in futili particolari di quella città che odiava con tutto se stesso. Il ragazzo si fermò, comandato da una folata di vento. Aprì gli occhi alzando il capo, vedendo ciò che si aspettava di vedere.
Nuovamente tutte quelle persone, invecchiate dalla loro anima che occupavano la biblioteca e lo spazio attorno ad essa. A quel punto nessuno poté fermare la rabbia di Jayson. Si fece spazio tra la gente, talvolta usando la forza, comunque non spostando di un millesimo la loro espressione impassibile. Si ritrovò davanti la signora Alba, coperta da un telo, visibile solo di viso.
-Picchiata e ustionata con dell’acido-. Disse un carabiniere all’interno dell’edificio a Jayson. Questo si lasciò sfuggire ad un gemito di dolore: una fitta al cuore. Era quella ferita che era riuscita in parte a cicatrizzarsi ma che stava tornando a bruciare. La madre sei anni prima, la zia Elizabeth, adesso anche lei. Alzò il telo, trovandosi la signora Alba davanti agli occhi, con i vestiti rotti a strappi, sotto dei quali si vedevano i segni rossi provocati dall’acido. Fece un passo indietro, inciampando in un oggetto. Un libro. Quello che lei avrebbe dovuto mettere da parte per Jayson appena sarebbe arrivato in città. Quando il ragazzo lo vide si irritò ancora di più. Allora uscì di corsa, scappando da quella visione terribile, lasciandosi alle spalle quei burattini con le maschere, in processione. Piangeva, e in quel momento tutta la rabbia si trasformò in odio: odio verso quelle persone che gli avevano portato via tutto, persino il padre che invece di stargli vicino se n’era andato perché non riusciva a sopportare la perdita della moglie. Non aveva più nessuno, nemmeno lo zio lo degnava di attenzione.
Alzò la testa, smettendo per qualche attimo di piangere. A un centinaio di metri da sé c’era un ponte, con la ringhiera ruggine, che si scorgeva tra la nebbiolina. Prese quella decisione. Ora mai non aveva più nessun motivo per cui esistere ancora. Accelerò al passo, vedendo avvicinarsi a poco a poco la ringhiera e scorgendo man mano avvicinandosi un fiume alcune decine di metri più in basso.
Uno scontro improvviso lo fece cadere a terra. Alzato si vide davanti la sorella. Questa avvicinò una mano nella fronte del fratello dove stava un piccolo taglio, osservando i suoi occhi pieni di lacrime, così lucidi in cui si poteva specchiare.
-Cosa ci fai qui? Dovresti essere al rientro pomeridiano.-. Chiese Jayson cercando di mantenere il tono del fratello che è sempre stato. -Dimmi la verità!- rispose lei, più matura di come non lo era mai stata. In quell’istante il ragazzo vide quanto in realtà lei fosse cresciuta, sempre considerata una bimba da lui. -La mamma e il papà sono morti vero?- continuò lei, rimanendo inerte e stabile. Lui si lasciò andare ad un abbraccio affettivo, singhiozzando tra le lacrime. -La mamma è stata ammazzata sei anni fa, l’ho trovata nel fosso, seguendo papà. Questo se n’è andato di casa per il dispiacere e non è più tornato-. Fu interrotto dalla sorella -La zia Elizabeth è stata trovata nella piazza principale, in una tragica fine. E come se non bastasse la signora Alba e stata uccisa poche ore fa nella sua biblioteca.- concluse.
-Come le sai queste cose?- chiese lui, baciandola sulla guancia. -Le voci girano … e poi ho cercato molte volte di parlare con te, ma ottenevo di volta in volta una risposta acerba-. Era molto più cosciente di lui e Jayson se ne rese conto. Affrontava la situazione come una prova difficile, e di colpo, la decisione presa qualche minuto prima venne tolta dalla sua mente. Abbandonò quel ponte.
-Dobbiamo trovare l’origine di tutto, parleremo in privato con la polizia.- decise il ragazzo.
Cingendole la mano alla spalla, si asciugò gli occhi, consapevole che, invece, c’era ancora una persona su cui poter contare. Andarono così, verso l’ufficio dove speravano di trovare delle risposte ai dubbi della città.


Capitolo numero 4

domenica 14 marzo 2010

CAPITOLO 4 - OLTRE LO SPECCHIO


Arrivarono all’ufficio dopo una ventina di minuti, passando per la periferia del paese, evitando quindi l’ammasso fitto di persone nella libreria. Incontrarono diverse persone durante il tragitto, probabilmente se ne stavano tornando a casa.
Entrarono e si sedettero all’interno dell’ufficio di un certo Mr Kayle, un uomo di mezza età, alto e con uno strano ciuffo di capelli che gli nascondeva mezzo viso.
-Avremmo bisogno di alcuni chiarimenti riguardo a quanto successo in queste due settimane- disse Marie, iniziando il discorso.
-Tutto quello che sappiamo è che gli omicidi sono probabilmente a causa di una sola persona. Inoltre nel corpo delle due vittime è stato trovato un segno inciso sulla pelle. Il segno corrisponde in entrambe le donne e si trova inciso sul lato alto destro della schiena. Raffigura un cerchio di diametro dieci centimetri circa, attraversato da un anello più piccolo, intrecciato ad esso. In questi giorni si stanno svolgendo delle indagini più approfondite. Sembra che si tratti di segni riguardanti qualche circolo satanico e che siano state incise da molto tempo- rispose il poliziotto, quasi tutto d’un fiato.
-Tra quanto tempo potremmo avere delle risposte certe?- chiese Jayson.
-Non lo sappiamo con certezza … ormai non abbiamo più idea di dove dirigerci, mi dispiace ragazzi ma non posso esservi d’aiuto più di così- finì lui.
-Quello che ci ha riferito non è poco, la ringraziamo veramente, arrivederci- salutò la sorella, guidando anche Jayson fuori dall’edificio.
-Dobbiamo parlare con il parroco, se tutto questo è legato alle sette sataniche è l’unica persona che può aiutarci-.
Era talmente decisa che Jayson non ebbe parole per contestarla. In un certo senso era anche strana la cosa. Fino al giorno prima detestava sua sorella come il resto della sua “famiglia” e la digrignava escludendola dalla sua vita. In quel momento, però, si rese conto che lei era tutto quello che gli rimaneva. Allora lui la pizzicò su un fianco, per scherzare. Subito dopo, lei fece un grande sorriso, aggrappandosi alle braccia di Jayson e andando verso il colle, dove avrebbero parlato con il parroco.
La strada che conduceva a destinazione si estendeva tra gli alberi ormai spogli. Era sera e in quella stagione il buio non si faceva attendere: la strada sabbiosa era illuminata solamente da qualche basso lampione. Si percorrevano dei tratti ripidi, altri più longilinei, e l’atmosfera che si stava creando richiamava un senso di solitudine ed esclusione. Era come stare in un film horror, vivendo la scena di suspense che preannuncia l’uscita improvvisa del nemico. Invece, sembrava che nulla scostasse di un millimetro quella sensazione, nessun nemico, solo qualche gatto randagio si scorgeva tra l’erba attorno alla stradicciola, facendosi notare con il luccichio degli occhi. La strada pareva estendersi all’infinito, non se ne vedeva il concludersi, andavano solo incontro al riflesso nero del cielo, verso qualcosa di indefinito. Era orrendo come quel posto fosse così deserto e sentirsi così soli in mezzo a quella quiete autunnale dava i brividi. Di tanto in tanto la sorella faceva notare qualche segno di stanchezza e allora Jayson la prendeva in braccio, guidato dalla sola forza di sapere se in qualche modo quello che era successo fosse legato a lui. Gli parve impossibile che le uniche due donne che gli mostravano affetto avessero fatto quella fine, a distanza di così poco tempo. Dentro di sé percepiva il fatto di essere stato coinvolto in qualcosa che non gli dava tregua e che, se non lo avesse fermato, sarebbe continuato. Ed era proprio questo che gli faceva più male. Secondo la sua logica la prossima vittima doveva essere proprio Marie.
Si fermarono davanti ad un vecchio cancello color ruggine, dotato di alte guglie, che facevano da ostacolo.
-Un campanello!- disse la sorella, e andò per premerlo, ma si punse il palmo della mano. Attorno ad esso erano cresciute delle piante con le spine. Il cancello iniziò ad aprirsi lentamente, bloccandosi quasi subito. Ci passarono appena, sporcandosi i vestiti di ruggine. C’erano dei gradini che finivano in un edificio alto poco più di due piani, con le finestre buie. Ai lati della gradinata c’erano dei cespugli e qualche fontana, prosciugata e piena di fogliame. Alla sinistra, pochi passi più avanti due perle gialle brillavano nell’oscurità. Si mossero verso i ragazzi, lentamente. Quando arrivarono a una decina di metri da loro due, videro un grosso dobermann nero che li scrutava. Si mise a ringhiare all’improvviso, scattando verso i due che si misero a correre verso la casa. La ragazzina ad un tratto inciampò in un gradino e vide il muso dell’animale arrivargli in prossimità del viso. Chiuse gli occhi. Si sentì fortunatamente un rumore di catene, e Marie, con il cuore a mille, indietreggiò alzandosi da terra. Quando si voltarono, videro sulla soglia della porta una sagoma maschile, che li attendeva.


Capitolo numero 5

mercoledì 10 marzo 2010

CAPITOLO 5 - OLTRE LO SPECCHIO


-Salve ragazzi. Entrate- disse il parroco.
La sala in cui li fece accomodare era composta da due divanetti ed un tavolo centrale, color rame. -Volevamo chiederle se potrebbe esserci d’aiuto riguardo quanto successo in questi giorni, noi siamo le persone più legate alle vittime. Abbiamo parlato con la polizia e ci hanno detto che, secondo i segni trovati, riguarda qualche setta satanica, così abbiamo pensato che lei fosse la persona più indicata a cui fare affidamento-. Disse Jayson.
-Che cosa simboleggiano i segni trovati?- chiese il parroco, interessato.
-Raffigurano un cerchio di diametro dieci, attraversato da un piccolo anello. In entrambi i casi le cicatrici erano state incise tempo indietro.-. Spiegò la ragazzina.
-Ho già sentito parlare di un simbolo del genere, ma nei circoli satanici che si creano, solitamente scrivono delle parole. Sono a conoscenza che qui a Swan Hill qualche tempo fa erano state trovate delle grotte dove alcune persone si ritrovavano a fare dei riti satanici- disse l’uomo. -Potrebbe dirci dove si trovano esattamente?- chiese lei.
-Se volete sono anche disposto ad accompagnarvi, uno dei posti si trova appena sotto a questo colle. Possiamo recarci appena farà luce, intanto potrei prestarvi una camera, immagino che non sia stato facile fare tutta questa strada da soli- concluse il parroco.
I ragazzi rimasero un po’ sconcertati: era da tanto tempo che non parlavano con qualcuno di una tale gentilezza. Ovviamente accettarono e andarono a dormire in una stanza al piano superiore.
La mattina seguente, l’uomo offrì del pane e del latte ai ragazzi e subito dopo si diressero verso la grotta per cercare delle risposte. Ripercorsero metà strada del colle, tagliando poi per il prato andando verso una macchia di pini. In quella zona, tra le sterpaglie per terra, videro anche una fessura su una roccia, abbastanza larga da poterci passare. Uno alla volta entrarono nella grotta, che si presentò fredda e opaca. Le pareti erano interamente ricoperte da segni rossi, disegni di spiriti. Al centro un agglomerato di mattoni fungeva da tavolino. Altre quattro pietre formavano le sedie. Si avvicinarono, vedendo che sul tavolo c’erano quattro candele rosse ed uno specchio rotto. Più da vicino notarono che le crepe dello specchio formavano esattamente il simbolo degli omicidi. Il killer faceva parte della setta. Alzando la candela vide una scritta sotto di essa. E. 23 I. Marie e il Parroco alzarono altre due candele: G. 15 A, B. 18 J. Sotto all’ultima la scritta riportata segnalava A. 7 J. Jayson ci pensò un attimo. Gli bastò pochissimo per decifrare i codici. -Elizabeth, 23 settembre, settembre è il nono mese, la nona lettera dell’alfabeto è la "i". Seguendo lo stesso metodo: Grazielle, 15 gennaio, successe però sei anni prima come si può notare dalla scritta ormai cancellata. Alba, 7 novembre e B. 18 novembre. Quattro donne che facevano parte dello stesso circolo, uccise da una persona, che agisce programmando il tempo-. Jayson aveva sempre avuto a che fare con quesiti di questo genere, letti nelle centinaia di libri della biblioteca, consumando le sue giornate. Erano nel centro del quesito. L’unico problema era scoprire il posto in cui il killer avrebbe agito nel suo ultimo atto. Mancavano esattamente 10 giorni. Nel tempo rimanente sarebbero dovuti proseguire con le ricerche. Ma per il momento non avevano altri dati. Forse li avrebbero aiutati la polizia, forse il parroco avrebbe scoperto dell’altro, forse avrebbero dovuto trovare una soluzione da soli. Dovevano tornare a casa però. Riprendere fiato per un momento, mangiare e riposarsi, azioni delle quali il corpo si era rifiutato di compiere da un paio di giorni.
Alla strada che svoltava verso la dimora dell’uomo, deviarono in direzione della città, porgendo le loro gratitudini e vedendo la figura risalire il colle con il capo rivolto verso terra. Erano di nuovo soli.


Capitolo numero 6

martedì 2 marzo 2010

CAPITOLO 6 - OLTRE LO SPECCHIO


Trovarono la porta aperta quando rientrarono. Milford non era in casa. Entrambi immaginarono che fosse andato al solito bar a sbronzarsi come faceva da due settimane a quella parte. Se non che si prepararono una pasta veloce e mangiarono esattamente come facevano una volta, tanto tempo fa, quando era la madre a preparare il pranzo, non facendo mai mancare un dolce. L’ultima volta che mangiarono assieme, Grazielle aveva preparato dei biscotti al cioccolato, decorati con le meringhe. Quella sera i due fratelli si guardarono un film alla televisione, come sei anni prima. Fecero così anche il sabato successivo, per ricordare i momenti che passavano con i genitori quando quel 15 gennaio distrusse la loro vita. Andando verso le camere, prima di coricarsi, i due, passando per il corridoio al piano superiore, si soffermarono sullo specchio bianco di Elizabeth. L’immagine riflessa mostrava l’anima di due ragazzini, una bionda con gli occhi scurissimi, l’altro ramato, venti centimetri più alto e con una tonalità di occhi compresa fra il verde e il ciano. Lei restò tremendamente sorpresa nel vedere quanto fossero cresciuti, dall’ultima volta in cui si specchiarono. Lui, restò a meditare nei lineamenti della sorella e a quanto fossero simili a quelli suoi, pur essendo visibilmente diversi. Notò, però, con astuzia il fatto che una parte del viso della ragazza era leggermente più avanzato dell’altro. Un occhio appariva poco più ristretto. Guardò poi Marie, che stava dritta accanto a lui, in posizione perfettamente orizzontale rispetto al muro. Quando lei si accorse che Jayson la stava fissando, si voltò dalla sua parte, scorgendo nei suoi occhi un velo di stupore. Questo sentimento passò subito a lei, quando vide che con decisione, il fratello cercava di staccare lo specchio dal muro.
-Che stai cercando di fare?- chiese lei.
-Dietro allo specchio c’è qualcosa!- rispose lui e, quando riuscì a toglierlo, videro un blocco di muro a faccia quadrata, sporgere lievemente dal resto della muratura. Entrambi lo tirarono verso di loro, togliendolo a poco a poco dalla parete. Lo appoggiarono a terra, dopodiché, presero quello che trovarono all’interno. Una busta bianca. La aprirono. All’interno, un foglio un po’ ingiallito faceva da sfondo a delle parole scritte con inchiostro nero. Riconobbero la calligrafia della madre, in una lettera destinata al marito.
“4 gennaio 1976. Ti scrivo questa lettera per ringraziarti di quello che stai momentaneamente facendo per la famiglia, mentre sono malata, e ti prendi cura di me e dei nostri figli come nessuno saprebbe fare. Sei davvero una persona straordinaria. Quando finalmente starò meglio, voglio riportarvi nei posti più belli che abbiamo visto finora, stavolta anche con i ragazzi. Tu li ricordi? Io non potrei dimenticare la muraglia cinese, il Colosseo di Roma, il muro del pianto, le piramidi d’Egitto, la biblioteca Alessandrina, Venezia, la torre di Londra. Abbi pazienza ancora per poco, i dottori dicono che mi rimetterò presto. Aspettando, grazie di tutto. Con affetto, Grazielle..”
Jayson si fermò su quelle parole, fissando lo spazio tra di esse. Uno spazio irraggiungibile, quello che si era creato tra lui e la madre. La sorella strappò velocemente la carta dalle mani del ragazzo, leggendo alcune parole.
-Jayson! Il muro del pianto, la biblioteca Alessandrina! La murata della piazza, la biblioteca della Main Street!-.
Il ragazzo si avvicinò, guardando anche lui la lettera. Era un indizio chiaro e tondo. Il prossimo omicidio aveva a che fare o con la città di Venezia o con la Torre di Londra. Cercarono di ragionarci assieme, cercando un motivo valido per scartare una delle due alternative. Venezia poteva simboleggiare acqua oppure maschere. Il Big Bang il campanile della città. In ogni caso, il campanile era il posto più insolito per un omicidio. Se avesse lasciato il cadavere in un fiume, probabilmente il segno che compariva non sarebbe potuto essere visto. In un modo o nell’altro, il killer voleva essere riconosciuto come tale, sfogando tutta la sua rabbia contro delle vittime innocenti. Jayson fu interrotto dai singhiozzi della sorella.
-Che ti prende?- le chiese. -È stato papà! Le ha uccise lui la zia e Alba!-. Il ragazzo non seppe cosa dire, si sentiva così piccolo di fronte a quello che stava succedendo. Non poteva crederci. Era impossibile. Come poteva suo padre fare una cosa del genere? Perché avrebbe dovuto farlo? La sua anima non si dava pace. Abbracciò la sorella che, aggrappandosi alla maglia del fratello, pianse.
-Marie … non piangere. Tanto cosa può succederci di peggio? Stiamo male entrambi ma, dopo tutto quello che è successo, non vale la pena di versare ancora lacrime. Mercoledì andremo su quella maledetta torre e avremo una risposta!- cercò di convincerla, fingendo il più possibile di essere ragionevole anche se, dentro se stesso, sapeva di avere l’animo di un bambino. La sentì smettere di piangere e, in quel momento, riprese fiducia in se stesso. La prese in braccio, accompagnandola alla camera. La distese nel letto e lui si sedette accanto a lei, accarezzandole piano i capelli. Sfiorandole il collo, sentì che la sua pelle era molto fredda. Così la coprì con una coperta e le accese una candela nel comodino di legno. Lui si distese nel pavimento, sul tappeto e, chiudendo gli occhi, si abbandonò al sonno.


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