...il solo sapere che un buon libro sta aspettando alla fine di una lunga giornata rende quella giornata più felice...

Kathleen Norris

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martedì 2 marzo 2010

CAPITOLO 6 - OLTRE LO SPECCHIO


Trovarono la porta aperta quando rientrarono. Milford non era in casa. Entrambi immaginarono che fosse andato al solito bar a sbronzarsi come faceva da due settimane a quella parte. Se non che si prepararono una pasta veloce e mangiarono esattamente come facevano una volta, tanto tempo fa, quando era la madre a preparare il pranzo, non facendo mai mancare un dolce. L’ultima volta che mangiarono assieme, Grazielle aveva preparato dei biscotti al cioccolato, decorati con le meringhe. Quella sera i due fratelli si guardarono un film alla televisione, come sei anni prima. Fecero così anche il sabato successivo, per ricordare i momenti che passavano con i genitori quando quel 15 gennaio distrusse la loro vita. Andando verso le camere, prima di coricarsi, i due, passando per il corridoio al piano superiore, si soffermarono sullo specchio bianco di Elizabeth. L’immagine riflessa mostrava l’anima di due ragazzini, una bionda con gli occhi scurissimi, l’altro ramato, venti centimetri più alto e con una tonalità di occhi compresa fra il verde e il ciano. Lei restò tremendamente sorpresa nel vedere quanto fossero cresciuti, dall’ultima volta in cui si specchiarono. Lui, restò a meditare nei lineamenti della sorella e a quanto fossero simili a quelli suoi, pur essendo visibilmente diversi. Notò, però, con astuzia il fatto che una parte del viso della ragazza era leggermente più avanzato dell’altro. Un occhio appariva poco più ristretto. Guardò poi Marie, che stava dritta accanto a lui, in posizione perfettamente orizzontale rispetto al muro. Quando lei si accorse che Jayson la stava fissando, si voltò dalla sua parte, scorgendo nei suoi occhi un velo di stupore. Questo sentimento passò subito a lei, quando vide che con decisione, il fratello cercava di staccare lo specchio dal muro.
-Che stai cercando di fare?- chiese lei.
-Dietro allo specchio c’è qualcosa!- rispose lui e, quando riuscì a toglierlo, videro un blocco di muro a faccia quadrata, sporgere lievemente dal resto della muratura. Entrambi lo tirarono verso di loro, togliendolo a poco a poco dalla parete. Lo appoggiarono a terra, dopodiché, presero quello che trovarono all’interno. Una busta bianca. La aprirono. All’interno, un foglio un po’ ingiallito faceva da sfondo a delle parole scritte con inchiostro nero. Riconobbero la calligrafia della madre, in una lettera destinata al marito.
“4 gennaio 1976. Ti scrivo questa lettera per ringraziarti di quello che stai momentaneamente facendo per la famiglia, mentre sono malata, e ti prendi cura di me e dei nostri figli come nessuno saprebbe fare. Sei davvero una persona straordinaria. Quando finalmente starò meglio, voglio riportarvi nei posti più belli che abbiamo visto finora, stavolta anche con i ragazzi. Tu li ricordi? Io non potrei dimenticare la muraglia cinese, il Colosseo di Roma, il muro del pianto, le piramidi d’Egitto, la biblioteca Alessandrina, Venezia, la torre di Londra. Abbi pazienza ancora per poco, i dottori dicono che mi rimetterò presto. Aspettando, grazie di tutto. Con affetto, Grazielle..”
Jayson si fermò su quelle parole, fissando lo spazio tra di esse. Uno spazio irraggiungibile, quello che si era creato tra lui e la madre. La sorella strappò velocemente la carta dalle mani del ragazzo, leggendo alcune parole.
-Jayson! Il muro del pianto, la biblioteca Alessandrina! La murata della piazza, la biblioteca della Main Street!-.
Il ragazzo si avvicinò, guardando anche lui la lettera. Era un indizio chiaro e tondo. Il prossimo omicidio aveva a che fare o con la città di Venezia o con la Torre di Londra. Cercarono di ragionarci assieme, cercando un motivo valido per scartare una delle due alternative. Venezia poteva simboleggiare acqua oppure maschere. Il Big Bang il campanile della città. In ogni caso, il campanile era il posto più insolito per un omicidio. Se avesse lasciato il cadavere in un fiume, probabilmente il segno che compariva non sarebbe potuto essere visto. In un modo o nell’altro, il killer voleva essere riconosciuto come tale, sfogando tutta la sua rabbia contro delle vittime innocenti. Jayson fu interrotto dai singhiozzi della sorella.
-Che ti prende?- le chiese. -È stato papà! Le ha uccise lui la zia e Alba!-. Il ragazzo non seppe cosa dire, si sentiva così piccolo di fronte a quello che stava succedendo. Non poteva crederci. Era impossibile. Come poteva suo padre fare una cosa del genere? Perché avrebbe dovuto farlo? La sua anima non si dava pace. Abbracciò la sorella che, aggrappandosi alla maglia del fratello, pianse.
-Marie … non piangere. Tanto cosa può succederci di peggio? Stiamo male entrambi ma, dopo tutto quello che è successo, non vale la pena di versare ancora lacrime. Mercoledì andremo su quella maledetta torre e avremo una risposta!- cercò di convincerla, fingendo il più possibile di essere ragionevole anche se, dentro se stesso, sapeva di avere l’animo di un bambino. La sentì smettere di piangere e, in quel momento, riprese fiducia in se stesso. La prese in braccio, accompagnandola alla camera. La distese nel letto e lui si sedette accanto a lei, accarezzandole piano i capelli. Sfiorandole il collo, sentì che la sua pelle era molto fredda. Così la coprì con una coperta e le accese una candela nel comodino di legno. Lui si distese nel pavimento, sul tappeto e, chiudendo gli occhi, si abbandonò al sonno.


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