...il solo sapere che un buon libro sta aspettando alla fine di una lunga giornata rende quella giornata più felice...

Kathleen Norris

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lunedì 22 marzo 2010

CAPITOLO 2 - OLTRE LO SPECCHIO


Tornò a casa, Jayson, nella Oxford Ave. Entrò, chiudendo impulsivamente la porta alle spalle, creando un rumore che fece eco sui muri. Ripose lo zaino in cucina, prese un pezzo di pane dalla dispensa e lo addentò, guardandosi attorno. Si mise a pensare alla sua vita schifa e poco soddisfacente, nella quale poteva trovare sfogo soltanto nei suoi libri. Leggere era l’unica cosa che lo interessava davvero. A scuola era evitato da tutti; odiava tutte le persone che cercavano di compatirlo per il suo passato e, conseguentemente al suo rapporto staccato, ormai più nessuno gli rivolgeva la parola. Se gli era possibile, marinava e andava nella libreria della signora Alba, a rintanarsi in uno dei suoi corridoi per sfogliare pagine dei romanzi. Gli interessavano più che altro quelli di filosofia e fantascienza.
Ormai però non ne poteva più. Era stanco di ripetere sempre le solite consumate e noiose giornate e in un certo senso era anche contento che qualcosa avesse rotto l’agonia di sempre. Ad un tratto da sopra la credenza dove solitamente la zia teneva i bicchieri il gatto grigio fumo Zak saltò con un balzo sopra il tavolo chiedendo, miagolando, del cibo. Il ragazzo gli diede un pezzo del pane che aveva preso e poi varcò la porta per andare al piano superiore, nella sua stanza. Salì quelle scale di pietra dove aveva tanto giocato quando era ancora una creatura innocente. Si distese nel letto, e spontaneamente buttò gli occhi a ciò che aveva davanti. Una fotografia di dieci anni prima. … Il padre Tom abbracciava sua moglie Grazielle che sorrideva e portava tra le braccia la figlia che da pochi mesi era entrata in famiglia; Jayson stava seduto sulle spalle del padre e gli cingeva le braccia al collo … Si alzò di scatto e d’impulso strappò la fotografia dal muro e la lanciò con foga in direzione della finestra. Andò a rompersi contro il vetro distruggendosi in tante piccole schegge.
-Jayson?- chiese fioca una voce dietro di sé. Lui si voltò subito, trovandosi di fronte alla sorellina Marie.
Aveva gli occhi lucidi, ed era pallida. -Che vuoi? Vai fuori!- rispose sgarbato il ragazzo, guardandola furioso. La ragazzina, spaventata andò via dalla stanza, chiudendo la porta.
Le aveva sempre mentito. Le aveva raccontato che la nonna che abitava in Inghilterra era malata e la mamma e il papà erano andati per assisterla, partendo dopo un anno dalla nascita di Marie. Le assicurava che un giorno sarebbero tornati. Nel frattempo dovevano restare dagli zii Elizabeth e Milford. Erano tutte bugie a cui lei credeva e si lasciava corrompere dal fratello. Ma in quel momento, Jayson, non se la sentiva di dirle che il motivo di tutta la confusione a Swan Hill era proprio la morte della zia. Non sapeva come replicare alla possibile reazione della sorella. Aveva paura di rovinare la vita anche all’unico membro della “famiglia” che riusciva ancora a sorridere e poiché Elizabeth era come una mamma per lei, probabilmente avrebbe reagito come Jayson alla notizia della morte di Grazielle. Poi, in fin dei conti non aveva voglia di un’altra faccia disperata, ma era consapevole che, prima o poi, la verità sarebbe arrivata anche per lei.
Si affacciò alla finestra e guardò in basso. La casetta di legno, il vecchio terranova Dreyk, i fiori appassiti e non curati, coronati dal fumo tetro del falò che ardeva nel campo di fronte e riempiva la terra di cenere. Morte. La città in delirio marciva con il resto della stagione.
Per tutta la notte Jayson non fece altro che rimanere seduto in un angolo della stanza, con le braccia conserte e gli occhi socchiusi. Non sentì Milford rientrare, non sentì proprio nulla. Quando l’alba donò i primi raggi, il ragazzo si rese conto di esistere. Quando si alzò in piedi avvertì dei crampi allo stomaco; perciò andò al piano inferiore a bere un sorso d’acqua. Proprio in quel momento lo zio rientrò, con lo stesso identico volto del giorno precedente. Passò sfiorando il ragazzo, senza degnarlo di una minima attenzione, procedendo verso la sala.
-Dove sei stato?- chiese allora Jayson. -Fuori- rispose Milford. Dalla voce e dal passo barcollante dedusse che fosse stato tutta la notte a riempirsi di alcolici. Il ragazzo non aggiunse altro, restò in sala a leggere una rivista.
Appena vide che lo zio iniziava a riprendersi, Jayson cominciò a prepararsi alcune domande. Lo colse di sorpresa, mentre sorseggiava del latte dalla tazza. -Hanno scoperto qualcosa? Voglio dire, com’è possibile che una persona si trovi inaspettatamente in quella situazione?-. Lo zio lo guardò alzando il sopracciglio destro, come se non avesse capito la domanda. O non l’avesse sentita. -Per favore Milford, spiegami … è già troppo ciò che non ho saputo di mia madre, adesso non nascondermi anche questo-. Lo disse quasi piangendo. Dopotutto era comunque sua zia e l’aveva allevato come un figlio poiché lei non ebbe avuto la possibilità di averne uno. -Pensi che se lo sapessi, in questo momento sarei qui, senza far niente?- rispose con tono acido lo zio. -ma…-
-Nessuno lo sa Jay! Usa il cervello una buona volta! Va al diavolo!-.
Era evidente che la sua reazione era influenzata dallo sconforto del giorno precedente; il nipote, deluso da quella brusca risposta, uscì di casa, dirigendosi verso la biblioteca.


Capitolo numero 3

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